Ci permettiamo di riportare un interessantissimo articolo di Nautica Report che cerca di far ordinare nella complicate norme che regolano i salvataggi ed i recuperi in mare. La normativa di riferimento è il Codice della Navigazione (introdotto nel 1941) e, più recentemente la Convenzione di Londra del 1989, introdotta in Italia con Decreto Legge dei 1995.
Per quanto concerne il recupero di imbarcazione si intende ilritrovamento/rinvenimento di una unità di cui il proprietario non è a conoscenza della posizione in cui si trovi (un po’ come era successo per la piena del Magra nel 2011). In tal caso si ha diritto ad un compenso, pari al 30% del valore di quanto ritrovato (art. 510 Codice della Navigazione): tale compenso è maggiore rispetto alla media di compenso dei salvataggi in mare, che hanno però come limite il valore stesso dei beni salvati (quindi, ipoteticamente il 100% del valore del bene).
In ogni caso, il recupero/ritrovamento è più un fatto di fortuna, pertanto proprio l’eccezionalità di tale evento premia con una percentuale così alta.
Per quanto concerne il salvataggio (o salvage) è invece regolamentato in maniera di tutelare in primis colui che si vede salvare la barca. Ricordiamo infatti che, l’art. 491 prevede che il compenso sia da liquidarsi solo quando il risultato del salvataggio ha un esito positivo, totale o parziale:
(comma 1) L’assistenza e il salvataggio di nave o di aeromobile, che non siano effettuati contro il rifiuto espresso e ragionevole del comandante, danno diritto, entro i limiti del valore dei beni Assistiti o salvati, al risarcimento dei danni subiti e al rimborso delle spese incontrate, nonché, ove abbiano conseguito un risultato anche parzialmente utile, a un compenso.
Ciò viene tradotto dai Lloyd’s di Londra con il famoso “No cure, no pay”, letteralmente “nessun risultato (o cura), nessun pagamento”
Il pagamento dell’opera di salvataggio viene computato in base a varie voci che comporranno l’importo finale, o meglio la percentuale del valore:
(comma 2) Il compenso è stabilito in ragione del successo ottenuto, dei rischi corsi dalla nave soccorritrice, degli sforzi compiuti e del tempo impiegato, delle spese generali dell’impresa se la nave è armata ed equipaggiata allo scopo di prestare soccorso; nonché del pericolo in cui versavano i beni assistiti o salvati e del valore dei medesimi.
Pertanto, una volta attribuito un valore percentuale alle singole voci componenti il compenso (es: 2% per condizioni meteo discrete, 3 % per i rischi corsi, 2 % per gli sforzi compiuti, etc…), il totale delle stesse mi darà il XX % del valore del bene recuperato. Es: 7% di xx mila €.
Adesso bisogna stabilire quanto vale la barca recuperata ed è fondamentale capire che la percentuale del valore del bene è sul recuperato, non sul valore assicurato o sul valore prima del sinistro. Ciò è importante anche per il seguente motivo: se il soccorritore, per recuperare una barca da 100.000 € produce danni per 10.000€ e ottiene un compenso pari al 10%, non è che non ha diritto a nulla, in quanto il 10% di 100.000 è pari a 10.000, a cui detrarre i 10.000 di danni.
In realtà bisogna applicare il 10% di valore del recupero al netto dei danni cagionati al fine di portare a termine il recupero, pertanto il 10% si applicherà a:
100.000 – 10.000 (danni) = 90.000
Il compenso sarà pari a 9.000 €.
Il salvataggio può (anzi deve) essere effettuato da chiunque (art 489, obbligo di salvataggio/assistenza),
L’assistenza a nave o ad aeromobile in mare o in acque interne, i quali siano in pericolo di perdersi, è obbligatoria, in quanto possibile senza grave rischio della nave soccorritrice, del suo equipaggio e dei suoi passeggeri, oltre che nel caso previsto nell’articolo 485, quando a bordo della nave o dell’aeromobile siano in pericolo persone.
Il comandante di nave, in corso di viaggio o pronta a partire, che abbia notizia del pericolo corso da una nave o da un aeromobile, è tenuto nelle circostanze e nei limiti predetti ad accorrere per prestare assistenza, quando possa ragionevolmente prevedere un utile risultato, a meno che sia a conoscenza che l’assistenza è portata da altri in condizioni più idonee o simili a quelle in cui egli stesso potrebbe portarla, ma parimenti è obbligatorio ricompensare.
Per quanto riguarda l’aspetto della cima, è errato dire che ricevendo la cima di traino si tratta di salvataggio: tale consuetudine marinara è invece usata come prova di testimonianza dell’accettazione o meno del salvataggio, ai sensi dell’art 492 del Codice della navigazione:
Il salvataggio di cose, che non sia effettuato contro il rifiuto espresso e ragionevole del comandante della nave o dell’aeromobile in pericolo o del proprietario delle cose, dà diritto, nei limiti stabiliti nell’articolo precedente, al risarcimento dei danni, al rimborso delle spese, nonché, ove abbia conseguito un risultato anche parzialmente utile, a un compenso determinato a norma del predetto articolo.
In parole semplici, ricevendo la cima di traino, accettiamo il salvataggio, e non potremmo mai dire che l’avevamo rifiutato e che non intendiamo pagare: avremmo dovuto NON accettare al cima, lasciandola cadere in acqua… o meglio, accordarci subito per l’importo.
Per quanto riguarda il rimorchio, questa invece è un attività tipica dei rimorchiatori, regolamentata e disciplinata, soggetta ad autorizzazione, e più specificamente si parla di:
- rimorchio trasporto: spostamento di una cosa da un posto ad un altro posto .
rimorchio manovra: operazioni utili ad agevolare la manovra delle navi in entrata o uscita dai porti. (soggetto a concessione) - Anche se a volte, trainare una barca in panne in mare è un salvataggio, non è detto che sia un rimorchio e viceversa.
Tecnicamente l’attività svolta è similare: una barca traina un’altra per mezzo di una cima, ma il fine ultimo è diverso.
Trattasi di salvataggio il traino di una barca in panne in mare fino al primo porto utile (sarà il perito o il giudice a stabilire, di volta in volta, poi quanto percentualmente vale quel salvataggio)
Il rimorchio invece è il traino di una barca (o altro galleggiante) da un porto ad un altro porto e che non corre quindi pericoli immediati: per tale motivo in fatti non si possono chiedere cifre all’apparenza spropositate. Dico all’apparenza poiché se il rimorchio effettuato da un rimorchiatore autorizzato costa 3.000 € all’ora, per uno scafo di 20.000 € è uno sproposito, mentre se la stessa attività viene eseguita come salvataggio, per un importo del 10% del valore, il compenso è 2.000 €, inferiore ad una sola ora di rimorchio.
Come detto precedentemente, la regolamentazione del salvataggio, tutela anche il salvato, oltre che il salvatore.
Per concludere, ogni buon recuperatore cercherà sempre di dimostrare quanti più rischi e difficoltà incontrate gli sia possibile, al fine di avere maggior percentuale di compenso sul valore recuperato, giungendo talvolta a chiedere il compenso per il ritrovamento/recupero, come detto pari al 30%, anziché il compenso per salvataggio che, da una media veloce delle sentenze italiane, si aggira al 10% del recuperato.