Una domanda a cui non sarà facile rispondere per il quarantacinquenne skipper britannico che ha passato gli ultimi otto anni della sua vita a lavorare per scalare quello che è considerato l’Everest della vela oceanica. Il primo appuntamento è per il prossimo sabato, per la Inmarsat In-Port Race di Goteborg, ma Walker partirà subito per gli Emirati per festeggiare il trionfo di Abu Dhabi Ocean Racing con gli sponsor e i sostenitori che hanno reso possibile la vittoria. Poi, contrariamente a molti dei suoi colleghi, che torneranno velocemente sui campi di regata, ha pianificato un lungo periodo di riposo e relax a casa con la sua famiglia. “Penso che il mio prossimo impegno sarà guidare la barca di assistenza alla regata Junior Fortnight con le mie figlie.” Ha detto Walker nella conferenza stampa al termine della nona tappa conclusasi ieri a Goteborg, che ne ha decretato il ruolo di vincitore. “Vado a passare l’estate a casa, le mie bambine reclamano il loro papà.” Ha dichiarato con un viso sorridente, ma è un commento che rivela comunque quanto sia dura, impegnativa e totalizzante la regata, sia a terra che in mare e quando la vittoria richieda una dedizione praticamente totale.
Ian Walker, che ha un passato di velista olimpico che gli ha fruttato due medaglie d’argento nel 470 e nella Star ed esperienze anche in Coppa America, ieri è diventato l’ultimo skipper ad alzare al cielo il trofeo della Volvo Ocean Race, ex Whitbread Round the World Race. Grazie alla sua determinazione non comune, dato che molti altri avrebbero rinunciato molto prima.
La sua prima esperienza infatti, risale all’edizione 2008/09 quando gli fu chiesto di guidare la campagna cino/irlandese di Green Dragon su una barca che purtroppo non gli garantì prestazioni tali da poter impensierire in alcun modo Ericsson 4, guidato da Torben Grael, che vinse in maniera netta quel giro. Walker sperava di poter far meglio al secondo tentativo, nel 2011/12 a bordo dell’Open 70 Azzam, ma anche in quell’occasione la barca non fu all’altezza delle promesse e anche una serie di incidenti, fra cui la rottura dell’albero proprio la prima notte dopo la partenza, compromisero il risultato di una campagna disseminata di delusioni. Non abbastanza, però, per spingere Ian Walker a rinunciare al suo sogno.
Quando arrivò ad Alicante prima dell’edizione 2014/15, appariva rilassato e sicuro a bordo del suo monotipo Volvo Ocean 65, certo di avere un mezzo alla pari dei suoi avversari. Aveva anche messo insieme un gruppo di otto velisti professionisti molto esperti, fra cui il navigatore inglese Simon Fisher o il veterano spagnolo Roberto “Chuny” Bermudez. “Il nostro piano è semplice.” Disse ai giornalisti che lo intervistarono alla vigilia della partenza. “Se riusciamo a salire sul podio in tutte le tappe, saremo non lontani dalla vittoria nella generale.” E, in effetti, oggi si può dire che questa strategia ha funzionato alla perfezione, dato che oltre a due vittorie di tappa a Città del Capo e Itajaì, in tutte le altre frazioni Azzam ha figurato nei primi tre, due volte in seconda posizione.
Fino alla quinta tappa l’avversario più pericoloso, che appariva in grado di poter scombinare i piani di Ian Walker, è stato Dongfeng Race Team con lo skipper transalpino Charles Caudrelier, soprattutto dopo la vittoria nelle acque di casa cinesi di Sanya. Malauguratamente per i franco/cinesi però la rottura dell’albero poco prima di Capo Horn e il successivo ritiro nel corso della quinta tappa, con otto punti aggiunti sul tabellone, hanno cambiato la situazione e per il team degli Emirati, la regata si poteva solo quasi perdere.
E, malgrado due quinti posti, nella settima e nona tappa, Walker e il suo equipaggio non sono mai sembrati in pericolo. “E’ una sensazione incredibile, si lavora così duramente. Il mio rapporto con il giro del mondo, la Whitbread iniziò quando ero solo un bambino che appendeva le foto delle barche alle pareti della sua stanza. Ho corso la mia prima Volvo Ocean Race due edizioni fa e in realtà non sapevo davvero se sarei stato all’altezza. Mi chiedevo come sarebbe stato navigare negli oceani del sud, avevo un sacco di dubbi, ed è stata una strada davvero lunga e accidentata.” Ha spiegato ancora il velista britannico. “Abbiamo fatto tanti errori e abbiamo imparato tante lezioni in passato che ci sono stati utili questa volta. Mi sono circondato di bravissimi velisti e il piano ha funzionato.”
La sua speranza ora è che il successo ottenuto possa contribuire a rendere ulteriormente popolare lo sport della vela sia ad Abu Dhabi che nel resto degli Emirati. “E’ una cosa importante, la nazione ha solo 42 anni di vita e quello che stiamo cercando di fare è di rendere la vela popolare, sopratutto fra i giovani. Il modo migliore per farlo per noi era vincere.”
Missione compiuta.